Report Cerved: Piccole e Medie Imprese uccise dalla crisi
Cerved pubblica per la prima volta il Rapporto Cerved PMI, con il quale si intende analizzare lo stato di salute economico-finanziario e il rischio di credito delle Piccole e Medie Imprese, vera spina dorsale della nostra economia.
L’Italia, con 5,3 milioni di imprese attive al 31 dicembre 2013, è il Paese che vanta il maggior numero di microimprese e di PMI nell’Unione Europea, superando di gran lunga anche paesi più popolosi come la Germania e la Francia: 3,3 milioni di imprese individuali e oltre 900 mila società di persone attive. Sono invece poco più di 1 milione le società di capitale.
Per PMI si intendono le aziende con meno di 250 addetti e un fatturato inferiore a 50 milioni di euro (o un attivo inferiore a 43 milioni di euro). Esse producono il 12% del Pil.
I principali risultati del rapporto sono caduta della domanda e credit crunch.
Quella che stiamo attraversando è sicuramente la peggiore crisi che l’economia italiana ha attraversato dal secondo Dopoguerra, non solo per l’entità della caduta del Pil, ma anche e soprattutto per la persistenza della stagnazione della domanda e per l’incapacità del sistema di tornare a crescere.
Inoltre la contrazione del credito bancario ha interessato prima e in misura maggiore le PMI rispetto alle grandi imprese spinte dalle regole di Basilea; tra 2008 e 2013 le banche hanno selezionato con maggiore severità la clientela, riducendo i finanziamenti alle PMI più rischiose e continuando a erogare prestiti alle società più affidabili. Non sono state solo le banche ad operare una selezione del credito in base alla rischiosità delle controparti, ma anche le imprese nell’erogazione dei fidi commerciali.
Il risultato di tutto ciò è stato il seguente: un quinto delle PMI in fallimento, procedura concorsuale o liquidazione volontaria oltre al calo veritiginoso di start up che a tre anni dalla nascita riesce a sopravvivere. Infatti, a fronte della generale tenuta dei bilanci, le negative condizioni macroeconomiche hanno aumentato il rischio medio di insolvenza: a parità di qualità del bilancio, si è innalzata la probabilità di default.
Inoltre l’evoluzione dei rating più recente indica un‘ulteriore aggravarsi della situazione, con un numero di downgrading che supera quello di upgrading e una maggiore polarizzazione tra imprese che si rafforzano e aziende che invece continuano ad indebolirsi.
Ma in questa panoramica c’è anche un lato positivo da sottolineare, ossia la diminuzione delle PMI con profilo economico finanziario rischioso: la lunga crisi ha innescato un processo di selezione che rende, paradossalmente, la condizione finanziaria delle PMI più equilibrata rispetto al periodo pre-crisi; secondo lo score economico-finanziario di Cerved, si è ridotta significativamente la presenza di PMI con un bilancio rischioso. Ciò è dovuto a una combinazione di fattori: la selezione, che ha espulso le imprese meno solide; il de-leveraging legato al credit crunch; la ricapitalizzazione che molte imprese hanno intrapreso; il calo dei tassi di interesse, che ha ridotto il peso degli oneri finanziari sui margini.
Un’ulteriore caduta del Pil dello 0,3% nell’anno in corso e una moderata ripresa dell’attività economica nel successivo biennio, delinea che le PMI torneranno ad accrescere ricavi e valore aggiunto nel 2015-16, ma con una dinamica ancora molto contenuta.
Solo un miglioramento del quadro macroeconomico, caratterizzato dalla ripresa della domanda aggregata e dal superamento del credit crunch potrebbe far ripartire il sistema delle PMI e l’economia italiana. Quando ciò avvenisse, esiste un nutrito gruppo di PMI con bilanci solidi, pronte ad investire e in grado di agganciare la ripresa.