Protesti e pagamenti: va ancora un po’ meglio.
Nel primo trimestre 2014, rispetto al periodo corrispondente dell'anno precedente, il valore dei mancati pagamenti da parte delle imprese italiane si riduce dell'1,7%, sia per quanto riguarda le transazioni con pagamento immediato rispetto alla consegna della merce, sia per le transazioni con pagamento differito. Diminuiscono di 3,7 giorni anche i tempi medi di pagamento (che si attestano a 77,5 giorni), con il dato specifico riferito alle giornate di ritardo in calo sensibile (-2,7). Resta stabile la percentuale di imprese puntuali, mentre passa dal 9,2% al 7,6% la quota di aziende che salda le fatture con oltre 60 giorni di ritardo, casi che possono sfociare prima in mancati pagamenti e quindi in autentici default.
Sono i dati generali che si ricavano da Payline – il database Cerved che monitora le esperienze di pagamento di 2,5 milioni di imprese italiane e dalla lettura del corrispondente rapporto sul primo periodo dell'anno in corso. Tutti gli indicatori mostrano progressi rispetto alla setssa frazione del 2013, coinvolgendo quasi tutti i settori e tutte le aree del Paese.
In netto calo anche i protesti: tra Gennaio e Marzo le società colpite sono 19 mila, -14,4% rispetto al 2013, anno che nell'ultimo trimestre registrava già, a sua volta, un incoraggiante -10,8%. Rimane però elevato il numero di società protestate, di ben 27 punti percentuali al di sopra dei livelli pre-crisi, quando in un singolo trimestre erano circa 15 mila. Diminuzione e consolidamento della tendenza coinvolgono tutta la Penisola, in doppia cifra per tutti i settori dell’economia: in particolare, nell’industria (-20% rispetto allo scorso anno), il numero di società protestate è tornato vicino ai livelli pre-crisi (+2,8%).
Come leggere i dati del Cerved? È di sicuro in atto un processo di ristrutturazione dell’economia italiana, resistente nel tempo, che vede consolidarsi le condizioni economico-finanziarie delle imprese che hanno fatto fronte alla crisi. Ma non è tutto oro ciò che luccica: pesa ancora, infatti, sull'analisi in termini percentuali, l’uscita dal mercato delle società più fragili, come documentato nell’Osservatorio sulle crisi d’impresa.