La copertura dei crediti deteriorati nelle Banche italiane. Italia meglio della media europea
Due parole ben precise per riassumere il problema, ormai note degli ultimi anni: “crediti deteriorati” sono i crediti che la banca vanta verso terzi, il cui rimborso è incerto in quanto i soggetti debitori non hanno la disponibilità liquida di rimborsare le somme prese in prestito.
Stando a quanto pubblicato dal Sole 24 Ore, emerge che il vero handicap non è tanto il tasso di copertura dei crediti deteriorati, definiti anche NPL (Non Performing Loans) in quanto se si guarda alle banche quotate a Piazza Affari l’asso di copertura arriva al 46% e, se si considerano anche le garanzie collaterali si arriva a sfiorare l’88%. L’handicap sta nei tempi di recupero dei crediti stessi (mediamente 7-8 anni). Questione confermata anche dalla stessa BankItalia nel rapporto annuale avvenuto nel mese di maggio 2015:
I “tempi lunghi e le incertezze sugli esiti delle crisi di impresa favoriscono l’accumulazione delle partite deteriorate nei bilanci degli intermediari e si riflettono negativamente sulla loro capacità di erogazione del credito”, a fronte di un contesto in cui “negli anni della crisi il numero di procedure concorsuali aperte (fallimentari e concordatarie) è significativamente aumentato”. Si conferma insomma anche da parte di BankItalia “l’elevata consistenza delle partite deteriorate risente dei tempi di recupero dei crediti, significativamente più lunghi in Italia che all’estero”.
L’articolo del Sole 24 Ore precisa che “alla fine di tutto il processo il credito problematico, per la parte non recuperata, si trasforma in perdite che possono essere dedotte fiscalmente. Ma fino al 2012 ci volevano 18 anni – 18 bilanci – per metterci definitivamente una pietra sopra. Aggiunti i tempi di recupero della fase precedente – i famosi 7-8 anni di media – non era difficile per le banche italiane trascorrere un quarto di secolo a piangere sul latte versato. A valere dall’esercizio 2015 quest’ulteriore anomalia nel quadro europeo è stata eliminata e almeno per il Fisco le partite perse, d’ora in poi, potranno essere digerite in un anno, come avviene già di prassi altrove.”
Di fatto i crediti deteriorati che si sono accumulati nel corso degli anni, portando le “sole sofferenze (che sono i crediti più difficili da riscuotere in assoluto, nella più ampia categoria dei crediti deteriorati) a balzare “dai 42,8 miliardi del 2008 – primo anno di crisi – ai 195,3 miliardi di metà 2015, per arrivare a superare oggi quota 200 miliardi“. (tutti i crediti deteriorati sono pari a circa 350 miliardi). Come già ribadito, il vero problema non è tanto il tasso di copertura ma i il tempo impiegato per recuperare i crediti. A tutti ciò si aggiunge anche un altro fatto: il Sole fa notare che, nel momento in cui “si va a confrontare l’incidenza delle partite deteriorate sul totale dei prestiti o sul capitale degli istituti”, emerge che i “crediti deteriorati netti (al netto cioè degli accantonamenti) pesano mediamente per l’11,3% sul totale dei crediti verso la clientela delle banche quotate a Piazza Affari e solo il 3,3% per i big europei, che sono in grado di smaltire più rapidamente le “partite perse”, facendole così scomparire dalla rappresentazione contabile. Analogamente, il peso sul patrimonio netto tangibile che è inferiore del 30% nel paniere continentale (29,3%) è del 106,7% per le quotate tricolori”.
Infine, da non sottovalutare l’esposizione ai debiti sovrani, che hanno ingolfato per tanti anni le banche italiane, rendendole particolarmente a rischio in caso di attacchi speculativi. L’esposizione delle banche italiane verso i titoli sovrani si attestava nel 2014 a 407 miliardi di euro , il 10% circa degli asset totali e in deciso rialzo dal 4,6% della fine del 2008. E almeno fino alla fine di marzo del 2015, i titoli di debito pubblico incidevano ancora sugli asset totali delle banche per il 10%, per un valore di ancora vicino ai 400 miliardi.