Investigazioni aziendali sui dipendenti: come non violare la privacy dei lavoratori
In ambito lavorativo il concetto di privacy è fondamentalmente normato dallo Statuto dei lavoratori che attraverso gli articoli 4 e 8 della legge n. 300 del 1970, hanno lo scopo di tutelare il lavoratore (nota1) e garantirne la sfera di riservatezza, come da articoli 1, 2, 6, 13, 14 e 15 della Costituzione. Le norme dello Statuto dei Lavoratori vanno poi interpretate in un combinato disposto con la disciplina per la Privacy dettata dal d.lgs. n. 196 del 2003, c.d. Codice della Privacy, e modificata dal Regolamento (Ue) 679/2016.
D’altra parte sono proprio questi testi che definiscono gli spazi che il Datore di lavoro possiede in fase di controlli e indagini datoriali. In generale i controlli sui dipendenti possono effettuarsi solamente in accordo con i Sindacati o, in mancanza, con l’Ispettore del lavoro. Esistono però due principi, la tutela del patrimonio aziendale ed il deterioramento del rapporto fiduciario con il lavoratore, che fanno venir meno la necessità dell’accordo coi sindacati nel controllo sulle attività di controllo sul dipendente e sugli strumenti utilizzati da quest’ultimo per svolgere il proprio lavoro, come cellulari e computer aziendali, e sugli strumenti di registrazione delle presenze e degli accessi.
Anche per quanto riguardo i file presenti su computer aziendali la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Febbraio 2018, specifica che, il datore di lavoro è legittimato a controllarne il contenuto senza violare la privacy del lavoratore, allo scopo di tutelare il patrimonio aziendale e il regolamento disciplinare (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. V, Sent. 22 febbraio 2018, ricorso n. 588-13).
Dal punto di vista delle riprese video/fotografiche l’Autorità di controllo vieta poi l’utilizzo di impianti audiovisivi e di altri strumenti che siano finalizzati a controllare l’attività lavorativa, ma diverse sentenze, tra cui quella della Corte di Cassazione n. 10636/17 del 02.05.2017, autorizzano la predisposizione, mediante agenzia investigativa, di telecamere per il monitoraggio di possibili illeciti (es. furti) all’interno del luogo di lavoro, chiaramente in maniera circoscritta ed a tutela ancora una volta del patrimonio aziendale.
Diverso è il discorso sui controlli al di fuori dell’orario di lavoro per i quali è proprio il Garante per la privacy, con il provvedimento n.9086480/2019 e seguendo l’orientamento giuridico sul tema, a stabilire la liceità delle indagini sui lavoratori dipendenti, attraverso agenzia dotata di licenza investigativa, per la verifica di eventuali utilizzi illeciti di permessi che implicano assenza da lavoro. In questo caso, le indagini investigative sono legittime e non ledono la privacy del dipendente, se avvengono in luoghi pubblici e riguardano fatti volti a prevenire eventuali danni arrecati all’azienda ed al suo patrimonio.
La Cassazione esplicita infatti che l’investigatore privato è legittimato a svolgere l’attività di pedinamento sul dipendente che non rispetta il proprio turno di lavoro ed esce prima dell’orario di chiusura, che utilizza i permessi ex legge 104/92 per l’assistenza di un parente disabile in maniera fraudolenta o che simula una malattia o utilizza il permesso per svolgere attività che ne pregiudichino la pronta guarigione.
Per tutti questi casi ed in generale per i comportamenti che ledono i due principi precedentemente citati è legittimo il licenziamento per giusta causa, comprovato dal lavoro dell’investigatore che è in grado di fornire degli elementi probatori indispensabili in sede giudiziaria, affiancati dall’eventuale testimonianza dell’operatore che ha svolto le indagini (Cass. ord. n. 6174/19 dell’1.03.2019).
Clicca sul link sotto per approfondire il tema investigazioni aziendali.