Vanti un credito nei confronti di un fallimento? Puoi recuperarlo solo insinuandoti nel passivo. Lo ha chiarito definitivamente la Corte di Cassazione, in una sentenza di fine gennaio 2014.
Per ottenere soddisfazione da un soggetto fallito, quindi, d'ora in avanti, meglio neppure tentare l'ordinario giudizio di cognizione e impegnarsi invece, fin da subito, per l'insinuazione al passivo fallimentare.
L'occasione per definire il punto si è presentata, davanti alla Suprema Corte, durante l'esame di una causa civile che vedeva i conduttori di un immobile, nel patrimonio di una società, pretendere dalla proprietà lavori di ripristino del manto di copertura – dal quale provenivano infiltrazioni d'acqua – sulla base di un provvedimento d'urgenza già ottenuto.
In corso di giudizio la società proprietaria era fallita, e quindi il procedimento era stato interrotto, per essere riassunto alla formazione della curatela del fallimento.
Il tribunale originario, con sentenza, aveva riconosciuto la fondatezza della richiesta e, nel confermare il provvedimento d’urgenza, confermato la prosecuzione del giudizio per la quantificazione del danno.
La Cassazione, chiamata a decidere il ricorso presentato contro la sentenza d’appello che aveva confermato quella del tribunale, ha affermato l’importante principio secondo il quale la domanda diretta a far valere crediti verso un fallimento è soggetta al rito dell'accertamento del passivo davanti al giudice fallimentare, cosiddetto giudice delegato.
Se la domanda viene proposta, dunque, di fronte a un giudice diverso, deve gioco forza essere dichiarata inammissibile o improcedibile.