È il più tragico tra i bilanci presentati dalla crisi in cui continua a versare l'economia italiana.
Tra il 2012 e i primi mesi del 2013 sono ben 103 le persone che si sono tolte la vita per cause direttamente legate al deterioramento delle condizioni economiche personali o aziendali.
Lo scorso anno i casi di suicidio sono stati 89, mentre a metà aprile di quest'anno l'amaro conteggio ha già toccato le 14 unità.
L'impietoso bollettino dei numeri e delle percentuali rivela come, in gran parte di queste tragedie, il fattore decisivo per la decisione fatale si sia rivelato proprio l'indebitamento.
Nell'ambito del numero totale, infatti, la precaria situazione economica personale ha decretato il 49,4 per cento dei decessi, la perdita del posto di lavoro ha inciso per 28,1 per cento, la difficoltà a saldare i conti con l'erario per il 14,6 mentre per il 7,9 ha influito in modo determinante il ritardo nei pagamenti da parte dei committenti.
Chi sono coloro che di fronte all'estrema incertezza per il futuro o alle difficoltà, percepite come insormontabili, hanno scelto l'opzione più definitiva? Uomini (ben 86 sul totale del 2012), si tratta per il 48,5 per cento di persone tra i 45 e i 54 anni d'età e per il 25 per cento tra i 55 e i 64.
A pagare volontariamente con la vita il peso delle ristrettezze economiche sono soprattutto imprenditori (55 per cento), e disoccupati (31,5), seguiti da dipendenti (7,9) e pensionati (5,6).
Colpisce infine la statistica geografica. Più di tutti subisce i colpi della recessione proprio l'ex-”glorioso” Nord-Est: qui infatti viveva il 30 per cento dei suicidi, sull'orlo del fallimento o schiacciati dai debiti, contro il 13,9 del Nord-Ovest, il 25,8 del Centro, il 14,6 del Sud e il 15,7 delle Isole.