Assenteismo: quanto costa alle aziende e come contrastarlo tra Motivazione e Investigazioni
Ormai la parola assenteismo risuona nelle nostre orecchie talmente tante volte che sembra sia diventata prassi consolidata. Durante la rassegna mattutina delle notizie relative a casi di assenteismo e ai cosiddetti “furbetti del cartellino” c’è un’alternanza di un giorno si e un giorno no di media; inoltre è da considerare il fatto che le notizie che acquisiscono risonanza mediatica sono sempre riferite alle Pubbliche Amministrazioni o ad enti controllati e società private che erogano servizi pubblici. Escono quindi dal conteggio i casi riferiti all’ambito privato sul quale, vuoi per un’importanza relativa per i lettori delle varie testate, vuoi per una scarsa volontà a renderli pubblici per ovvi problemi di reputazione.
E’ vero anche che, incrociando i dati della Ragioneria di Stato, per quanto riguarda il pubblico impiego e quelli dello studio di Confindustria su delle aziende comparabili vediamo come ci sia una sensibile differenza nei tassi di assenteismo registrati. Si va infatti dal 6,5% di assenze sul totale di ore lavorabili delle imprese private al 9,3% del settore pubblico. Si stima che se il settore pubblico dovesse arrivare ai livelli percentuali uguali a quello privato il risparmio per le casse dello Stato ammonterebbe a circa 3,7 mld di euro.
Ma quali azioni possono essere realmente considerate facenti parte della categoria “Assenteismo”?
Per assenteismo in letteratura scientifica si intende la l’assenza sistematica dal proprio posto di lavoro” e viene misurata secondo due unità di misura: la frequenza e la durata.
La frequenza è il numero delle volte in cui un individuo si è assentato da lavoro in un determinato lasso di tempo mentre la durata equivale al numero di giorni consecutivi per ogni assenza; le assenze con una durata più lunga sono statisticamente quelle relative a malattie reali e quindi inquadrata nell’assenteismo involontario; al contrario le assenze brevi e frequenti sono quelle più riferiti all’assenteismo volontario.
Per assenze sistematiche si intendono i permessi, siano essi retribuiti o no, per malattia o legge 104, richiesti in giornate considerate calde (es: fine e inizio settimana, ponti, pre/post-festivi) o comunque attuate in maniera frequente e al di sopra della media aziendale.
E quali sono i costi dell’assenteismo per un’azienda?
Secondo la relazione scientifica pubblica dalla rivista “Society for Human Resource Management” dal titolo Total Financial Impact of Employee Absences, circa l’80% delle aziende per ovviare alle assenze dei propri dipendenti utilizza gli straordinari avendo un costo totale che si aggira intorno al 2% della busta paga. Altro costo è quello legato alla perdita di produttività legata alla sostituzione dei lavoratori che mediamente si aggira intorno al 31,1%. Ultimo punto è quello legato all’azione dei dirigenti nel controllo e nella gestione delle assenze per i quali trascorrono una media di 4,2 ore alla settimana, praticamente il 10% della propria settimana lavorativa e ad un totale di 210 ore all’anno per ogni dirigente.
Altri costi non misurabili sono quelli legati alla motivazione dei dipendenti non assenteisti che percepiscono il comportamento scorretto del proprio collega senza che questo vada effettivamente incontro ad un rischio o ad una sanzione, e a quella relativa ai dipendenti che sono costretti a sostituire, magari con straordinari, i colleghi assenti; tutti questi aspetti, oltre alla motivazione personale, vanno a ledere l’atmosfera all’interno dell’azienda con rischi di calo della produttività e divergenze interne, spesso più pericolose degli intoppi di tipo tecnico/produttivo.
A livello strutturale e di gestione del personale sono diversi gli incentivi che si possono definire per cercare di attenuare il tasso di assenteismo soprattutto in ambito di motivazione e miglioramento dell’ambiente professionale; tra i tanti la creazione di premi legati alla presenza , le più recenti proposte di telelavoro e mobilità e in generale politiche di welfare aziendale a miglioramento del cosiddetto work/life balance.
A livello operativo è però spesso necessario un intervento da parte della dirigenza per ovviare a dei comportamenti scorretti, soprattutto nei casi in cui questi siano ormai palesi all’interno dell’azienda ma non dimostrabili e sufficienti all’eventuale richiamo o in ultima istanza al licenziamento per giusta causa.
In questi casi, non solo per una questione di giustizia e di necessità di infliggere una punizione, ma anche per un ragionamento puramente economico e di ottimizzazione delle risorse, l’azione più diretta e con maggiori possibilità di risoluzione del problema stesso è quella dell’utilizzo da parte del datore di lavoro dell’ausilio di un’Agenzia Investigativa. Questa sarà in grado poi, grazie a prove video/fotografiche, pedinamenti e testimonianza diretta in sede giudiziaria, di ottenere le prove concrete del comportamento scorretto e arrivare a risolvere definitivamente una soluzione che nel medio/lungo periodo può portare ad un costo decisamente maggiore alle casse aziendali. Da sottolineare come i costi processuali, tra cui quelli relativi all’utilizzo di un consulente tecnico, come appunto un Investigatore Privato, siano imputati al dipendente infedele in caso di conferma dell’illecito in sede giudiziaria.
L’approccio a questo fenomeno come abbiamo visto è differente e molto complesso in quanto a livello macro si parla sempre e comunque di psicologia umana, di motivazione, in fin dei conti di persone, con tutte le loro sfaccettature. Come sempre però quando si parla di Aziende la lotta tra Gestione della Persona e Gestione della Moneta è ardua e vince il Responsabile che riesce a stare in equilibrio tra questi due estremi, tenendo sempre d’occhio l’orizzonte temporale delle proprie decisioni.