Assegno di mantenimento: le nuove regole approvate dalla Commissione di Giustizia
Sono passati ormai quasi 50 anni dalla nascita del divorzio in Italia con la Legge n. 898 del 1970, la cosiddetta Fortuna-Baslini. Quattro anni dopo gli italiani in massa difesero questo diritto con il referendum sul divorzio che portò al no alla sua abrogazione. Ma insieme alla possibilità di divorzio la 898 portava con se anche un altro strumento che continua ad essere al centro dell’attenzione della giurisprudenza: l’assegno di mantenimento in favore di uno dei due coniugi (art. 5). L’articolo, integrato dall’articolo 10 della legge n. 74 del 198 è difatti la base sulla quale vengono definite le condizioni di scioglimento del matrimonio.
In sostanza la cessazione degli effetti civili del matrimonio comporta per un coniuge il diritto di ricevere un assegno “quando quest’ultimo non abbia i mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive” ed il parametro di riferimento utilizzato fino al 2017 per la sua interpretazione è stato quello del tenore di vita di cui il coniuge ha goduto durante il matrimonio. Questo orientamento giuridico è stato però messo in discussione dalla sentenza della Cassazione n. 11504 del 2017, che ha abbandonato il criterio del tenore di vita per sostituirlo con quello dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che chiede l’assegno.
Come però spesso succede in Italia gli orientamenti si ribaltano facilmente e nel luglio 2018 le Sezioni Unite hanno reintrodotto il “tenore di vita” con la sentenza n. 18287/2018 secondo la quale la sussistenza del diritto all’assegno di divorzio va valutata in base ad un criterio composito che tenga anche conto del tenore di vita goduto durante il matrimonio. Inoltre la sentenza pronuncia che per il riconoscimento dell’assegno devono essere valutate le condizioni economico-patrimoniali di entrambe le parti interessate e valutato il contributo offerto dell’ex coniuge richiedente, alla formazione del patrimonio comune e personale.
Risale invece al 14 Maggio 2019 un nuovo importante passaggio in materia con l’approvazione dalla Commissione di Giustizia con ben 396 voti favorevoli, 19 astensioni e 0 voti contrari, il nuovo assegno di mantenimento, che si sgancia definitivamente dal criterio del tenore di vita per dare un peso maggiore alle condizioni economiche del richiedente, al contributo fornito dall’ex coniuge alla vita familiare, alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future, all’età, allo stato di salute e all’impegno di cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti.
La proposta di legge, ora al vaglio del Senato, introduce in particolare un’importante novità prevedendo che, quando il coniuge richiedente si trova in una situazione di momentanea difficoltà, come uno stato di disoccupazione improvvisa, il tribunale può attribuire l’assegno anche solo per un determinato periodo. Si sancisce poi che l’assegno di mantenimento non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, unione civile o stabile convivenza del richiedente e non sorge nuovamente a seguito dell’eventuale separazione o cessazione della convivenza.
Con l’inserimento di tutta una serie di fattori, quali le condizioni economiche del coniuge, la stabile convivenza o il rapporto con i minori a carico, entrerà ancor di più in gioco la necessità di dimostrare, in sede giudiziaria, questi elementi in maniera inequivocabile. In questo senso il lavoro congiunto di Avvocati e Società investigative per verificare le reali capacità economico-patrimoniali del coniuge, l’esistente attività lavorativa non ufficializzata, eventuali stabili convivenze da parte del richiedente ed i comportamenti con i figli a carico, diventa fondamentale per definire un calcolo dell’assegno di mantenimento corretto; senza considerare che ciò potrà valere anche per i casi di ricalcolo dell’assegno di mantenimento in itinere.