164 miliardi di crediti inevasi: ITALIA – Il paese oppresso dal mostro della crisi
Dietro alla sigla Npl, apparentemente innocua si nasconde la montagna dei non performing loan, altrimenti detti crediti deteriorati.
A dicembre 2013, l’ammontare complessivo degli Npl italiani era pari a circa 164 miliardi di euro. Tanto per dare ordini di grandezza, più del 15% di tutto l’ammontare dei crediti deteriorati europei, oltre l’8% del Pil italiano.
Si può dire che la crisi abbia giocato a favore delle società di recupero crediti, settore letteralmente esploso: dalle 19.172 pratiche per un valore di 15 miliardi che queste imprese hanno gestito nel 2007 si è passati alle 38.923 per un valore di circa 49 miliardi nel 2013. Recuperandone, in percentuale, sempre meno.
Oltre le imprese di recupero crediti ci sono anche grandi banche con un bel po’ di crediti deteriorati – circa 27 miliardi la sola Intesa San Paolo – e, soprattutto ci sono i grandi fondi che arrivano dall’estero come Anacap, Fortress, Active Capital, Alvarez & Marsal e Kkr che stanno rastrellando crediti deteriorati in tutto il mondo. Tra gli italiani più attivi c'è anche un player bancario emergente come Banca Ifis che negli ultimi anni attraverso la sua area Npl ha in portafoglio 750 mila posizioni che analizza e gestisce con il brand Credifamiglia, e i suoi cento consulenti del credito.
C’è però un mercato in crescita, tanto fiorente quanto pericoloso: la cinese Shoreline Capital Management, la quale ha recentemente stimato che nei prossimi dieci anni ci potranno essere almeno 100 miliardi di dollari di Npl appetibili per fondi e società di investimento. Vista la situazione dell’Italia è ovviamente uno dei piatti più ricchi, le nostre banche infatti hanno cercato per mesi di liberarsi dei loro crediti deteriorati in vista del precedente test della Bce alcune ci sono riuscite altre stanno cercando tutt’ora di liberarsi da questo peso.
Di qualche mese fa la notizia che Alvarez & Marsal e Kkr hanno firmato con UniCredit e Intesa Sanpaolo un memorandum d’intesa per – testuale – «sviluppare e realizzare insieme una soluzione innovativa finalizzata a ottimizzare le performance e massimizzare il valore di un selezionato portafoglio di crediti in ristrutturazione attraverso la gestione attiva degli asset e l'apporto di nuove risorse finanziarie». In molti hanno pensato che questo accordo fosse il primo passo per la creazione di una «bad bank» italiana, sul modello di quella spagnola, che accolga tutti i crediti in sofferenza delle banche italiane.